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Ascoltando la radio (11/11/2011)

Il traffico sul grande raccordo anulare
Cercando indietro nella memoria, per quanto possa spingermi indietro ricordo sempre lo stesso inizio di giornata, qualcuno mi chiama dal profondo del sonno più o meno insistentemente, fino a che non mi tira materialmente giù dal letto. Da ragazzo questo compito spettava a mia madre, oggi è Simona, la mia compagna, ad occuparsene. In uno stato confusionale raggiungo il tavolo in salotto, sbattendo ed inciampando su qualsiasi oggetto che al mattino diventa un ostacolo. Senza dire una parola, ingurgito la solita colazione poi in maniera meccanica mi preparo per uscire di casa.
Solo quando muovo i primi passi per strada, nel tragitto lungo fino al box, dalla puzza dei tubi di scappamento e l’aria pungente che mi solca il viso, capisco che una nuova giornata sta cominciando.

Mi sigillo nella mia scatola metallica, come a volermi proteggere da un mondo che ancora non sono pronto ad affrontare, metto in moto e mi immergo nel fiume del traffico. Con un po’ di fortuna posso metterci solo un’ora a percorrere i 37 km che mi separano dall’ufficio, altrimenti devo rassegnarmi a vegetare in auto per delle ore.
Le auto sul grande raccordo anulare si dilettano in improbabili zigzag, accelerate improvvise e nervosi sorpassi per poi finire immancabilmente incanalati nel lento flusso del traffico. Un vero fiume di metallo e gas di scarico inquinanti che percorre il suo girotondo attorno alla città eterna.
In questa scatola di latta mi sento solo, mi guardo in torno in cerca degli sguardi della gente ma nessuno parla con me, fumano, urlano al telefono, alcuni litigano gesticolando vistosamente, nessuno che si accorga del mio bisogno di comunicazione sociale.
Immagino che la ragazza di fianco mi sorrida, la guardo un attimo, poi la sua corsia prende a muoversi lasciando che quel sorriso forse solo immaginato svanisca per sempre.
La radio è sempre accesa, ascolto la rassegna stampa di rai3, poi quella di radio 24, poi un telegiornale, un altro ed un altro ancora. Quelle voci parlanti che ormai conosco, sono per me come delle conversazioni.

Ho dietro molti gigabyte di musica mp3, ma non li ascolto, ho bisogno di parole e non di canzoni. Potrei chiamare la mia compagna ma sarebbero discorsi già affrontati nel tanto tempo che passiamo insieme. Di parenti e genitori non ne parliamo nemmeno, non mi interessa sapere se la figlia del vicino si è felicemente sposata o se il nostro cane pazzo ne ha fatto una delle sue. Quello che manca, sono le serate passate a chiacchiere con gli amici o gli sconosciuti che questa vita e questa enorme città hanno relegato ad appendici virtuali su internet.
Ascoltando la rassegna stampa, vivo una sorta di dialogo con l’operatore radiofonico, insieme leggiamo le notizie del giorno, commentiamo gli accadimenti più interessanti, discutiamo di cose non banali, insieme colmiamo il vuoto creativo di questo viaggio verso l’ufficio.
Ogni tanto ci provo ad alleggerire il dialogo passando a trasmissioni comiche come quella su kiss kiss oppure radio Montecarlo ma dopo poche stupide battute, decido di ritornare al mio dialogo serioso con il radiogiornale di ecoradio che ritorna sempre uguale ogni mezz’ora.
E’ atroce ascoltare notizie serie raccontate da persone impreparate che le condiscono con battute banali. Funzionano meglio i dieci minuti di pausa caffè in azienda dove sia io che i miei colleghi sappiamo essere più sarcastici e divertenti.

In azienda arrivo sempre prima di tutti, mi rintano nella mia grigia stanza, per otto lunghe ore sopravvivo con gli occhi fissi sul monitor e la mente persa in problemi logico-matematici. Sono un programmatore, faccio uno di quei lavori che tutti mi invidiano, tranne i programmatori.
L’unico scopo del mio lavoro è scrivere righe di codice che svolgono compiti insensati per compiacere le richieste di chi di informatica non ne capisce niente. Qui entra in gioco la musica, quelle centinaia di canzoni girano in sottofondo al posto dei dialoghi con la radio che mi distrarrebbero dal lavoro. La musica che mi aiuta a passare queste otto ore interminabili.
Quando ne esco, dall’ufficio, sono a pezzi, ho sempre mal di testa e la vista che mi da fastidio. Entro in auto ed affronto un nuovo viaggio nel traffico verso casa.
Non penso ad altro che scappare via lontano. Accendo la radio e, di venerdì, se sono fortunato e non è tardi, trovo Matteo Caccia che mi racconta delle storie. E’ bellissimo poter conoscere ogni sera una persona nuova e starsene ad ascoltare la sua storia. Quella persona con le sue parole è come se fosse in macchina con me, e mi raccontasse direttamente un episodio della sua vita.
La mia, invece, non è così interessante, esiste nel weekend quando il tempo scorre troppo in fretta e delle mille cose che vorrei fare riesco a farne soltanto una, oziare.

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